Chef Massimo Viglietti

Lo chef Massimo Viglietti è una delle figure più eclettiche e visionarie della cucina contemporanea italiana, un talento capace di unire istinto, tecnica e creatività in una sintesi personale e inconfondibile. Dopo una lunga carriera che lo ha visto protagonista in ristoranti di grande prestigio, tra cui Il Palma ad Alassio, dove ha ottenuto la stella Michelin, e successivamente TavolaViva e Taverna dei Caruggi, Viglietti approda a Roma dando vita a un progetto che rivoluziona il concetto stesso di esperienza gastronomica. La sua è una cucina d’autore, senza barriere e con menu concettuali, audaci e multisensoriali che hanno conquistato pubblico e critica.

Estremo, coraggioso, provocatorio nel pensiero e raffinato nell’esecuzione, Viglietti ha costruito un linguaggio culinario fatto di contaminazioni, memoria, arte e rock, che gli è valso numerosi riconoscimenti nel panorama nazionale. La stampa specializzata lo definisce “uno degli chef più innovativi del nostro tempo”, e i suoi piatti, vere narrazioni visive ed emotive, sono diventati il marchio distintivo di una carriera che continua a sorprendere, evolvere e sperimentare senza sosta.

Ligure, anticonformista per natura, lo chef al timone dell’insegna fine dining del Lord Byron Hotel rifiuta le convenzioni e stupisce con creazioni non sempre d’immediata comprensione, ma che trova un senso delizioso sul palato.
L’esperienza di un cuoco non può essere diluita nello spazio di una cena.

Chi assaggia non s’illumina d’immenso a comando, non può entrare in immediata sintonia con un pensiero, soprattutto quando la maniera di interpretare un piatto nella mente di chi crea, si figura in maniera diametralmente opposta rispetto a chi è invitato a scoprirlo. E così occorre fare uno sforzo in più, ascoltare, sviscerare, parlare e comprendere quella diversità di visioni, onorando quindi sia l’esperienza che il seme originario di un piatto. Ce ne siamo convinti alla tavola di Relais Le Jardin, il ristorante fine dining del Lord Byron Hotel, quartiere Parioli a Roma, dove da circa un anno ha preso le redini della cucina il ligure Massimo Viglietti, che in quel luogo sognava di fermarsi dal suo primo approdo nella Capitale e dove trent’anni fa hanno brillato le prime due stelle Michelin dell’urbe capitolina.

Originario di Alassio, deve tanto ai suoi genitori; deve tanto alla Palma, il ristorante di famiglia, due macaron e tanta passione, dove inizia a capire cosa, ma soprattutto chi volesse diventare; un cuoco, un cuoco libero, un cuoco che sceglie questo mestiere non tanto per lamentarsi e sentirsi frustrato, costretto a un unico campo base vita natural durante, a macinare ore a testa bassa subendo pressioni e richieste tali da snaturare la forza creativa, declassando il genio a mero esecutore: «Per fare questo mestiere bisogna divertirsi, sbagliare e accogliere la convinzione che non puoi piacere a chiunque. Di ore ne passi chiuso in un ristorante, quindi tanto vale farlo provando a creare qualcosa che rappresenti noi stessi fino in fondo», dichiara Viglietti

Lascia Alassio molto presto Massimo, ma non ha mai dimenticato la sua terra e, infatti, i profumi che gli appartengono tornano a piccole dosi, senza mai abbandonare la tradizione a sé stessa, una panissa per far scarpetta con della riduzione alla Coca- Cola, o un Pansotto come un gyoza ripieno alle erbe,soffiando un alito di nuovo sul ricettario della memoria.

Lascia Alassio, dicevamo, e per almeno un anno i suoi non gli rivolgono la parola, mentre Viglietti inizia a frequentare gli illustrissimi di Francia, Paul Bocuse, Louis Outhier e Roger Vergé, e così scalfisce, lima, approfondisce, fino all’attracco nell’urbe capitolina, salpando tra nuove aperture e palcoscenici vari come lo sono stati Achilli al Parlamento o Taki Off, ed è qui che si rivela la “fattura della stoffa” di questo cuoco: cresta argentea, tatuaggi, eppure non per questo parleremo di cuoco “dall’anima rock”. Viglietti, piuttosto, è un visionario, artista dannato o dannato artista, che sa trovare una giustificazione alle sue idee, sempre, e quando te ne rende partecipe, difficilmente si trova modo di contrastarlo, perché squisitamente coerente.

Si guarda allo specchio, alza una mano: «Ciò che riusciresti a vedere in questo specchio è già diverso rispetto a quanto possa vederci io. Ecco, nella cucina, nell’approccio al sapore, accade più o meno la stessa cosa». Siamo condizionati dal nostro vissuto, da quello che ci ha attraversati e da quello che abbiamo assaggiato; quindi è del tutto naturale non riuscire a trovare conforto in una data visione «come non è del tutto semplice accettare la diversità, eppure è nel confronto tra visioni, aggiunge Viglietti, nella singolare disamina di una pietanza che ciascuno offre, che sussiste la vera bellezza di questo lavoro».

Relais Le Jardin: Via Trionfale 151, Roma
Telefono: Tel. +39 0635404055



