Ferrari Farm

5fa5f 54ae74b7a5459 albicocca omogeneizzata basilico-idroponico-568x320 downloaded-29-09-14-213 images-1 images-2 images-3 images locanda-colle-cerqueto maxresdefault nettari_3_ smoothie_mela smoothie_susina Unknown-1 Unknown-2 UnknownAZIENDA AGRICOLA E LUXURY COUNTRY HOUSE

COLTIVAZIONI “BIOLOGICAMENTE DIFFERENTI”

L’azienda coltiva frutta ed ortaggi in accordo con il regolamento CE per le produzioni biologiche ed è ritenuta idonea al metodo di produzione biologico dall’ICEA IT BIO 006 con Cod. Op. G2024.
Ha deciso di certificarsi volontariamente, in accordo con i dettarmi del regolamento biologico, in modo da rispettare le proprie terre e la natura nella quale è posizionata, con lo scopo di produrre ed offrire al Mercato prodotti di elevata qualità, partendo da materie prime freschissime.
Manteniamo colori e profumi senza nessun additivo!
Per scelta, si provvede alla difesa delle colture in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie ed intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate. Il solo fertilizzante “ammesso” è il letame che proviene esclusivamente da aziende zootecniche certificate Bio, nonostante si possa per legge fare ricorso ad altre sostanze di origine naturale espressamente autorizzate.
All’interno del nostro podere vi è un frutteto che ospita più di 500 piante di differenti specie; le principali varietà coltivate sono: melo, pero, albicocco, susino, ciliegio, visciolo, fico, nocciolo, noce e castagno.Vi è inoltreun orto biologico che include un’area dedicata alle spezie ed alle piante aromatiche.

AGRITURISMO “LOCANDA COLLE CERQUETO” – LUXURY COUNTRY HOUSE

La “Locanda Colle Cerqueto” è il luogo ideale per ritrovare il proprio benessere, avvolti in un’atmosfera di classe e tradizione che si rifà ad antichi sapori. Una pausa unica per ricaricare energia, per la mente e per il corpo. I toni del verde ed il silenzio della campagna sono il posto ideale per catapultarsi in esperienze di contatto profondo con la natura e con il proprio Io.
Un angolo di pace e benessere unico! Un lusso da concedersi contro lo stress della vita quotidiana, godendo di tranquillità e facendosi coccolare da attenzioni uniche.
La Locanda è posizionata a circa 700m di quota su una splendida ed incontaminata collina dominante il Lago Salto, con un panorama unico ed un clima fresco e ventilato anche nei mesi estivi.
La struttura è rustica e confortevole, posizionata in campagna fra i campi coltivati con metodo biologico: un ambiente rurale, semplice e cordiale, non lontano dalla città ma lontano dai suoi rumori.
Gli ospiti della struttura potranno rilassarsi immersi nel silenzio della circostante incontaminata campagna, passeggiando all’interno del bellissimo podere, leggendo un libro in assoluto relax e gustando uno dei meravigliosi tramonti che questa terra offre, sorseggiando un buon vino o assaporando qualcuno dei nostri prodotti.
L’ospitalità e la cortesia sono al primo posto per i nostri ospiti, includendo benessere, tranquillità e relax.

PRODOTTI i-Farm” – BIOLOGICO ED IDROPONICO

Unicità, questa è la firma di Ferrari Farm.
Una raccolta di prodotti biologici ed idroponici caratterizzati da una tavolozza aromatica fatta di sapori autentici e naturali.
Prodotti esclusivamente dalle materie prime delle nostri coltivazioni 100% biologiche e delle nostre coltivazioni idroponiche sterili ermetiche e trasformati con una linea semi-automatica di nuova generazione che lavora sottovuoto, sono commercializzate in vaso di vetro per garantire la freschezza di un sapore autentico senza alcuna alterazione.
Confetture extra di frutta bio, nettari di frutta bio, frutta bio omogeneizzata, spezie bio essiccate, pomodoro idroponico in passata, nettare e omogeneizzato …

L’agriturismo si presta ad essere una location di eccezione per organizzare ricorrenze, matrimoni e ricevimenti avvolti in un’atmosfera di classe e tradizione, per regalarvi il sogno di un evento all’insegna della natura. Durante la bella stagione in una tensostruttura di nuova generazione sulla sommità della collina, possiamo ospitare fino a 150/170 persone, mentre durante il periodo invernale la nostra location dispone di un ristorante con circa 30 coperti.
In una zona intima vista lago possiamo ospitare la cerimonia nunziale con rito civile, sotto una vela bianca con altare.
Per piccole cerimonie è possibile usufruire del ristorante aziendale dove la ristorazione è esclusivamente su prenotazione per garantire un menù di piatti tipici che varia nel corso dell’anno con la stagionalità, basato su prodotti dell’orto biologico aziendale. Per grandi eventi invece, ci affidiamo storicamente ad un catering molto qualificato in grado di soddisfare i palati più esigenti e raffinati.
L’azienda è in grado di fornire vari servizi tra cui: catering, intrattenimenti musicali, banda musicale, servizi fotografici, transfer, allestimenti e decorazioni.
È inoltre disponibile, previa prenotazione, una sala conferenze.
È possibile acquistare in azienda i nostri prodotti biologici ed idroponici prodotti con cura in edizione limitata.

Piennolo del Vesuvio – Campania

Pomodorino del Piennolo del Vesuvio D.O.P.

Descrizione del prodotto

Il “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” è uno dei prodotti più antichi e tipici dell’agricoltura campana, tanto da essere perfino rappresentato nella scena del tradizionale presepe napoletano. In realtà, in diversi territori della Campania, esistono raggruppamenti di ecotipi con bacche di piccola pezzatura, i cosiddetti “pomodorini”, che si distinguono tra loro per tipicità, rusticità e qualità organolettica. I più famosi da sempre sono però quelli tuttora diffusi sulle pendici del Vesuvio. Il “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” raggruppa vecchie cultivar e biotipi locali accomunati da caratteristiche morfologiche e qualitative più o meno simili, la cui selezione è stata curata nei decenni dagli stessi agricoltori. Le denominazioni di tali ecotipi sono quelle popolari attribuite dagli stessi produttori locali, come “Fiaschella”, “Lampadina”, “Patanara”, “Principe Borghese” e “Re Umberto”, tradizionalmente coltivati da secoli nello stesso territorio di origine.

Le caratteristiche distintive, a livello tecnico-mercantile, del prodotto ammesso a tutela sono:
allo stato fresco: frutti di forma ovale o leggermente pruniforme con apice appuntito e frequente costolatura della parte peduncolare, buccia spessa di colore rosso vermiglio, pezzatura non superiore a 25 g, polpa di consistenza elevata e di colore rosso, sapore vivace intenso e dolce-acidulo;
conservato al piennolo: colore della buccia rosso scuro, polpa di buona consistenza di colore rosso, sapore intenso e vivace. I “piennoli” o “schiocche” presentano un peso, a fine conservazione, variabile tra 1 e 5 chilogrammi.

Agli effetti dell’azione di tutela si è riscontrato che l’aspetto peculiare di tipicità che accomuna i pomodorini vesuviani è l’antica pratica di conservazione “al piennolo”, cioè una caratteristica tecnica per legare fra di loro alcuni grappoli o “scocche” di pomodorini maturi, fino a formare un grande grappolo che viene poi sospeso in locali aerati, assicurando così l’ottimale conservazione del prezioso raccolto fino al termine dell’inverno. Nel corso dei mesi il pomodorino, pur perdendo il suo turgore, assume un sapore unico e delizioso, che soprattutto i napoletani apprezzano particolarmente per preparare sughi prelibati ed invitanti. E’ appunto il sistema di conservazione al “piennolo” che, favorendo una lenta maturazione, consente altresì una lunga conservazione, con la conseguente possibilità di consumare il prodotto “al naturale” fino alla primavera seguente.

Il Pomodorino del Vesuvio viene apprezzato sul mercato sia allo stato fresco, venduto appena raccolto sui mercati locali, che nella tipica forma conservata in appesa -“al piennolo”-, oppure anche come conserva in vetro, secondo un’antica ricetta familiare dell’area, denominata “a pacchetelle”, anch’essa contemplata nel disciplinare di produzione della DOP. Ordinariamente la raccolta viene effettuata recidendo i grappoli interi, quando su di essi sono presenti almeno il 70% di pomodorini rossi, mentre gli altri sono in fase di maturazione. Questa antica pratica consente di procrastinare il consumo delle bacche, integre e non trasformate, per tutto l’inverno successivo alla raccolta, fino a sette-otto mesi, utilizzando locali areati e senza il supporto delle moderne tecnologie di conservazione.

Le peculiarità del “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l’alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto a lunga conservazione durante la quale nessuna delle sue qualità organolettiche subisce alterazioni. Tali peculiarità sono profondamente legate ai fattori pedoclimatici tipici dell’area geografica in cui il pomodorino è coltivato dove i suoli, di origine vulcanica, sono costituiti da materiale piroclastico originato dagli eventi eruttivi del complesso vulcanico Somma-Vesuvio.

In quest’ambiente di elezione, la qualità del pomodorino raggiunge punte di eccellenza. Proprio la ricchezza in acidi organici determina la vivacità o “acidulità” di gusto, che è il carattere distintivo del pomodorino del Vesuvio. Ciò, oltre a derivare da una peculiarità genetica, è indice di un metodo di coltivazione a basso impatto ambientale e con ridotto ricorso ad acque d’irrigazione, che rende tale coltura particolarmente adatta ad un’area protetta, quale quella del Parco Nazionale del Vesuvio.

Il “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” per le sue qualità è un ingrediente fondamentale della cucina napoletana e campana in generale, ed ha una grande versatilità in cucina.

Accanto ai tradizionali spaghetti alle vongole e agli altri frutti di mare, gli chef locali si impegnano ad utilizzarlo in tanti altri piatti, tra cui una variante alla prelibata pizza napoletana.

Cenni storici

La coltivazione del Pomodorino del Piennolo sulle falde del Vesuvio ha senza dubbio radici antiche e ben documentate.

Per limitarci alle testimonianze storiche più illustri, notizie sul prodotto sono riportate dal Bruni, nel 1858, nel suo “Degli ortaggi e loro coltivazione presso la città di Napoli“, ove parla di pomodori a ciliegia, molto saporiti, che “si mantengono ottimi fino in primavera, purché legati in serti e sospesi alle soffitte”. Altra fonte letteraria attendibile è quella di Palmieri, che sull’Annuario della Reale Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici (attuale Facoltà di Agraria), del 1885, parla della pratica nell’area vesuviana di conservare le bacche della varietà p’appennere in luoghi ombrati e ventilati.

Francesco De Rosa, altro professore della Scuola di Portici, su “Italia Orticola” del novembre 1902, precisava che la vecchia “cerasella” vesuviana era stata via via sostituita dal tipo “a fiaschetto”, più indicato per la conservazione al piennolo. Il De Rosa è anche il primo ricercatore che riporta in modo esaustivo l’intera tecnica di coltivazione dei pomodorini vesuviani, facendo intendere così che si stava sviluppando nell’area un’intera economia intorno a questo prodotto, dalla produzione delle piantine da seme alla vendita del prodotto conservato.

Anche il prof. Marzio Cozzolino, della Facoltà di Agraria di Portici, nel suo testo del 1916, concorda con le fonti precedenti, sia sulla descrizione varietale che sui metodi di produzione, dedicando intere parti del testo a descrivere minuziosamente la tecnica colturale e soprattutto fornendo dati, anche economici, che aiutano a capire la laboriosità e la complessità di questa tipologia di prodotto.

Area di produzione

L’area tipica di produzione e conservazione del pomodorino del piennolo coincide con l’intera estensione del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio, includendo le sue pendici degradanti sino quasi al livello del mare.
In particolare, la zona di produzione e condizionamento prevista dal disciplinare del “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” comprende:

  • l’intero territorio dei seguenti comuni della provincia di Napoli: Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa Di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase,
  • la parte del territorio del comune di Nola delimitata perimetralmente: dalla strada provinciale Piazzola di Nola – Rione Trieste (per il tratto che va sotto il nome di “Costantinopoli”), dal “Lagno Rosario”, dal limite del comune di Ottaviano e dal limite del comune di Somma Vesuviana.

Dati economici e produttivi

La diffusione del “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP” nell’area vesuviana è piuttosto frammentata, per l’elevata parcellizzazione delle coltivazioni e per la distribuzione non uniforme lungo tutto il complesso montano del Somma-Vesuvio.

La superficie stimata è di circa 480 ettari (10% circa della Sau seminativi dell’area), con produzioni annuali di circa 4 mila tonnellate di prodotto fresco, e rese oscillanti fra i 60 e i 150 quintali per ettaro.
Il riconoscimento della DOP e il rinnovato interesse commerciale verso tale prodotto ha rivitalizzato l’intero comparto tanto che tutte le produzioni, fresche e conservate, sono smaltite rapidamente e senza alcuna difficoltà soprattutto sul mercato locale, ma in alcuni casi anche presso la moderna distribuzione. L’offerta di pomodorini in conserva o in piennoli confezionati è ancora limitata. In ogni caso, anche senza un’adeguata politica di valorizzazione del prodotto, rimane alto il livello di qualità percepita dai consumatori e quindi elevata è la richiesta del prodotto stesso.

Ci si può attendere quindi un incremento delle coltivazioni e quindi delle produzioni, ma le difficili condizioni orografiche dell’area e le difficoltà strutturali delle aziende potrebbero ostacolare un pur auspicato sviluppo del comparto.

Al momento è difficile determinare un fatturato medio, stante il mercato molto diluito nel tempo (da luglio a maggio dell’anno successivo) che comporta un prezzo di vendita molto diverso del prodotto (da 1 ad oltre 5 euro al chilogrammo).

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Amarena di Trofarello – Piemonte

L’Amarena di Trofarello è prodotta nel comune omonimo ed a Moncalieri (Torino).

Nell’areale considerato sono presenti vecchie varietà; tra queste, la più diffusa è la Marisa, conosciuta anche come Amarena Barbero.
Essa è una cultivar di ciliegio acido con caratteri intermedi tra l’amarena e la ciliegia dolce, con picciolo lungo e frutto grosso; la buccia è resistente allo spacco e presenta un colore rosso scuro; la polpa è trasparente e di scarsa consistenza, ha un sapore dolce-acidulo con lieve retrogusto amarognolo.

Le Amarene di Trofarello sono frutti freschi botanicamente classificati come Prunus cerasus L. – ovvero ciliegio acido – a polpa acidula tenera e trasparente; in italiano sono chiamate amarene e, in piemontese, “griote”. Le varietà appartenenti alla specie Prunus cerasus L. si caratterizzano per le contenute dimensioni della pianta e la chioma espansa; i fiori compaiono prima delle foglie che sono rigide, larghe e appuntite. In particolare, le amarene appartengono al gruppo dei ciliegi acidi, hanno frutto di colore rosso chiaro, con succo incolore e forma depressa ai poli; il sapore è tipicamente acidulo, con note amarognole (Fideghelli C., Albertini A., 1981).
Nel territorio intorno al comune di Trofarello si è storicamente diffusa la coltivazione delle amarene, in particolare dell’ecotipo Amarena di Trofarello, una declinazione locale appartenente al più ampio gruppo varietà-popolazione Amarena del Piemonte, che ha assunto a seconda della zona denominazioni diverse.
L’Amarena di Trofarello ha una maturazione ritardata: la raccolta si protrae fino a metà luglio. Un limite di questa produzione è dato dalla scarsa resistenza alle manipolazioni ed alla conservazione.

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Rosa Di Gorizia – Friuli Venezia Giulia

La natura, guidata dalla sapiente mano dell’agricoltore, ha trasformato un semplice seme in una sinfonia di sapore e colore, racchiudendo in non più di un pugno un tesoro da tramandare nei secoli e da custodire gelosamente, proprio come facevano le famiglie di un tempo.

Era il 1873, quando il barone austriaco Carl von Czoernig per primo scrisse della coltivazione di quella che egli stesso definì “cicoria rossastra”, ma non v’è dubbio che la tradizione affondi le proprie radici in periodi ben più remoti. Coltivata in larga parte nella piana tra Gorizia e Salcano, la Rosa ha successivamente subito l’allargamento degli insediamenti urbani, abbandonando il ruolo di punta ricoperto nell’economia cittadina e vedendo drasticamente ridotta la produzione. Ma anziché al declino, il nuovo contesto l’ha portata a ritagliarsi uno spazio tutto suo in un mercato di nicchia, allargato quasi esclusivamente alle province del Friuli Venezia Giulia, affermandola quale specialità locale per soli palati sopraffini. Ed è forse proprio questa la magia della Rosa di Gorizia®: l’essere riuscita non solo a superare il corso della storia, della trasformazione dei luoghi e del progressivo declino dell’agricoltura, bensì di aver fatto propri questi cambiamenti per sbocciare ogni anno con rinnovata energia e per illuminare ogni inverno con la sua vitalità e bellezza.

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Carciofo romanesco – Lazio

Il carciofo (Cynara scolimus) è una pianta già conosciuta al tempo degli Egizi e diffusa nell’area mediterranea, come si vince dal De Re Rustica di Columella e dal Naturalis Historia di Plinio. Tut¬tavia, secondo alcuni storici, furono gli Etruschi a praticare la coltivazione di questo ortaggio dalle varietà di cardo selvatico (Cynara cardunculus) e le raffigurazioni di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli di Tarquinia ne sono un’indiscutibile testimonianza. Attualmente, sono due le cultivar coltivate lungo il litorale a nord di Roma nei dintorni di Ladispoli e Cerveteri, un’area particolarmente vocata alla produzione del Carciofo Romanesco IGP: “Castellammare” (precoce) e “Campagnano” (tardiva). Il  Carciofo Romanesco, detto anche “mammola”, è grosso e con il capolino quasi rotondo, ha poco scarto ed è il più adatto per essere cucinato ripie¬no. La parte commestibile della pianta è in realtà il fiore e il cuore centra¬le chiamato “cimarolo” è il più ricercato, e di conseguenza anche il più costoso, perché più tenero e con le foglie più seriate. Molto versatile in cucina, la tradizione lo predilige “alla romana”, cotto a fuoco lento e condito con pangrattato, aglio, prezzemolo, pepe e abbondante olio, oppure alla “giudia”, tagliato a spirale in modo da eliminare la parte legnosa, fritto nell’olio con il gambo in alto e bello croccante. Il prodotto ha ottenuto L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) nel 2002 (Regolamento CE n. 2066/02) come “Carciofo Romanesco del Lazio IGP”.

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Arancia Rossa di Sicilia

L’Arancia Rossa è giunta in Sicilia dopo un lungo viaggio iniziato presumibilmente in Cina dove si è differenziato il primitivo nucleo genetico dal quale sono derivati gli attuali agrumi. Ciò è testimoniato dai più antichi documenti nei quali si fa menzione di arance pigmentate.

Dagli inizi del XX secolo la coltivazione dell’arancia conquista la piana di Catania (bonificata dai terreni paludosi) iniziano così a presentarsi nuove varietà di arancia rossa quali Sanguinello, Moro e Tarocco.

La produzione di frutti d’arancio dalla polpa rossa è tipica di quella zona della Sicilia Orientale posta a Sud Sud-Ovest dell’Etna tra le province di Catania, Enna e Siracusa.

In nessun’altra regione dell’area mediterranea e del continente americano le cultivar pigmentate sono riuscite a produrre frutti con le pregevoli qualità che distinguono le arance rosse siciliane, quali l’intensa colorazione e l’equilibrato rapporto tra zuccheri e acidi.

Le rigide temperature notturne e l’intensità luminosa delle belle giornate invernali sono caratteristiche climatiche di quella parte della Sicilia Orientale particolarmente vocata alla produzione di arance rosse. L’abbondante dose di insolazione permette la formazione di alti livelli di zuccheri, fondamentali per la formazione del sapore, reso gustoso dalla modesta quantità di precipitazioni.

 

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Pera Mantovana – Lombardia

Sei varietà per identificare un frutto pregiato, coltivato fin dal Medioevo e conservato fino ad oggi grazie a sapienti innesti e incroci.
Le varietà di Pera Mantovana coltivate sono sei: Abate Fetel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Barlett e William.

Sono tutte caratterizzate da un sapore dolce più o meno aromatico ma si distinguono per il colore e rugosità della buccia:
le pere delle varietà William  hanno una buccia liscia, di colore giallo-rosato;

  • le pere Max Red hanno un colore di fondo giallo, quasi completamente coperto da  sovracolore rosso vivo, spesso striato;
  • la varietà Conference è verde-giallastra con rugginosità diffusa;
  • la pera di varietà Decana Comizio è liscia, di colore verde chiaro-giallastro e rosa ;
  • la varietà Abate Fetel ha la buccia verde chiaro-giallastra e rugginosità intorno al peduncolo;
  • la pera Kaiser possiede una buccia ruvida e rugginosa.
    Ogni varietà ha un proprio periodo di coltivazione.
    Il peso medio della Pera Mantovana varia dai 158 gr della Conference ai 260 della Abate.

La zona di produzione della Pera Mantovana IGP comprende l’intero territorio dei Comuni di Sabbioneta, Commessaggio, Viadana, Pomponesco, Dosolo, Gazzuolo, Suzzara, Borgoforte, Motteggiana, Bagnolo San Vito, Virgilio, Sustinente, Gonzaga, Pegognaga, Moglia, S.Benedetto Po, Quistello, Quingentole, S.Giacomo delle Segnate, S.Giovanni del Dosso, Schivenoglia, Pieve di Coriano, Revere, Ostiglia, Serravalle a Po, Villa Poma, Poggio Rusco, Magnacavallo, Borgofranco sul Po, Carbonara di Po, Sermide e Felonica, che delimitano un’area continua in provincia di Mantova.
La coltivazione della pera nel mantovano e soprattutto nella zona dell’Oltrepò, è una pratica molto antica. Nel 1475 rappresenta la coltura più diffusa ed importante anche se esclusiva dei nobili e degli ecclesiastici. Nei giardini dei monasteri e nei broli delle corti signorili si coltivano ed incrociano varietà diverse di pera per ottenere frutti sempre più gustosi.
La produzione però viene destinata all’autoconsumo o al mercato locale a causa della difficoltà nella conservazione e nel trasporto di questo frutto.
Dopo l’unità d’Italia e nel primo dopoguerra il necessario riassetto produttivo spinge a valorizzare le attività esistenti. La coltivazione del pero si sviluppa particolarmente grazie anche alle innovazioni tecnologiche nel settore della conservazione e dei trasporti.
Il lavoro di produzione delle sei varietà di Pera Mantovana è affiancato da una importante attività di recupero e valorizzazione di varietà locali al fine di contribuire al mantenimento del patrimonio agricolo e ambientale di quelle zone.
Nel 1998 la Pera Mantovana ottiene il riconoscimento europeo IGP e nasce il Consorzio Perwiva, che ne tutela e promuove la produzione.

La produzione della Pera Mantovana IGP è regolata da un disciplinare di produzione approvato dalla Unione Europea e avviene secondo tecniche tradizionali della zona.

La Pera Mantovana ha proprietà diuretiche, depurative, regolatrici intestinali ed è possibile consumarne anche un quantitativo elevato senza introdurre troppe calorie.
La percentuale di zuccheri contenuti è in gran parte costituita da fruttosio, per cui il suo consumo è consentito anche ai diabetici.

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Fagiolo di Sarconi – Basilicata

I Fagioli di Sarconi sono coltivati da secoli in una particolare zona della Basilicata.
La zona di produzione dei fagioli ad Indicazione Geografica Protetta Fagioli di Sarconi, comprende i territori dei Comuni di: Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsicovetere, Moliterno, Monomero, Paterno, San Martino d’Agri, Spinoso, Tramutola, Viggiano, tutti situati in Provincia di Potenza.
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Questi prodotti sono caratteristici poichè fortemente legati all’ambiente di questi territori dove la disponibilità di acqua, e particolari condizioni ambientali come le basse temperature estive permettono la produzione di fagioli di elevata qualità assolutamente distinguibili dalle altre varietà esistenti.Il tipico sapore dolce di questi fagioli dipende proprio dalle condizioni descritte che consentono ai semi di mantenere una significativa concentrazione di zuccheri semplici che in tempi più lunghi rispetto ad altre varietà vengono poi trasformati in amido.La Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi” è riservata agli ecotipi di cannellino e di borlotto noti localmente con gli appellativi: “fasuli russi”, “tovagliedde rampicanti”, “fasuli russi”, “verdolini”, “napulitanu vasciu”, “napulitanu avuti”, “ciuoti o regina”, “tabacchino”, “munachedda”, “nasieddo”, “maruchedda”, “san michele”, “muruseddu”, “truchisch”, “cannellino rampicante”.

I fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”, con l’eventuale specificazione del nome o dell’ecotipo locale, possono essere prodotti come baccelli da sgranare allo stato fresco o a piena maturazione per la granella secca.

 

 

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Centofoglie scarola venafrana – Molise

DENOMINAZIONE LATINA

Cichorium endivia latifolium.

PIANTA DI ORIGINE

Pianta annuale con cespo grosso, foglie di colore verde intenso, molto croccanti.

UTILIZZAZIONE ALIMENTARE

Viene consumata soprattutto cruda, in insalata, dopo averla accuratamente lavata, sgocciolata e asciugata. E’ ottima cotta a vapore o brasata.

Nella tradizione culinaria venafrana viene utilizzata per la classica ” fagioli e scarola” e nella “zuppa alla santè”.

COLTIVAZIONE

Si semina nella tarda primavera fino a settembre – ottobre a spaglio in semenzaio. Le piantine si trapiantano generalmente quando hanno raggiunto i 10 cm di altezza alla distanza di 30 cm tra le fila e 10-15 cm sulla fila.

NOTE

E’ ricca di potassio ed ha spiccate proprietà depurative e diuretiche.

Le foglie inoltre, hanno proprietà emolliente sull’epidermide se applicate, cotte, come cataplasma.

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Asparago violetto di Albenga – Liguria

Inconfondibile, per i turioni molto grossi e per il colore viola intenso che gradatamente sfuma scendendo verso la base, l’asparago Violetto d’Albenga è una varietà unica al mondo. Il suo colore strano non dipende dalla tecnica di coltivazione, ma è legato al suo patrimonio genetico. E c’è una ragione scientifica che ne preserva la purezza: possedendo 40 cromosomi anziché 20 come tutti gli altri asparagi, il Violetto non può incrociarsi con altre varietà (i figli sarebbero sterili) e quindi non può imbastardirsi.
In California hanno tentato di brevettarlo e fior di agronomi hanno provato a coltivarlo in Nuova Zelanda, in Australia e negli Stati Uniti, ma con scarsissimi risultati.
I terreni alluvionali della Piana di Albenga, invece, sono perfetti: grazie al profondo strato sabbioso e limoso e al microclima. Eppure, in Liguria, questa varietà, che negli anni Trenta del Novecento era coltivata su più di 300 ettari è quasi completamente abbandonata.
La coltivazione del Violetto è completamente manuale e la raccolta avviene da metà marzo ai primi di giugno: così arriva più tardi alla vendita e trova un mercato già colonizzato da altre varietà nazionali e d’importazione. Da sempre i contadini hanno escogitato stratagemmi per anticiparne anche di poco la raccolta: un tempo si scaldava il terreno con il cascame del cotone (scarto dei cotonifici) impregnato d’acqua. Oggi esistono metodi più moderni: ad esempio c’è chi sistema tubi di acqua calda nel terreno.
Le preparazioni più adatte a questo asparago morbido e burroso (e senza la fibrosità dei colleghi) sono quelle che ne esaltano la delicatezza. Niente salse coprenti, niente cotture prolungate, niente refrigerazione o peggio surgelazione. Lessati poco e intinti in un extravergine di Taggiasca offrono profumi e sapori inimitabili, ma accompagnano bene anche cibi molto delicati: pesci lessi, al vapore, al forno, carni bianche o salse raffinate.

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Albicocca Val Venosta – Trentino Alto Adige

Il clima unico della Val Venostacaldo e soleggiato, con poche precipitazioni e terreni ariosi, èideale per la coltivazione delle albicocche, chiamate anche Marillen dagli abitanti del luogo.

Di forma ovale e dalla buccia sottile e vellutata, di colore giallo scuro, tendente all’arancione, l’albicocca venostana è un concentrato dei sapori e delle straordinarie sfumature che caratterizzano l’estate in Val Venosta.

La sua polpa morbida e succosa, dal sapore pieno e lievemente acidulo, si presta bene ad essere utilizzata per la preparazione di dolci e marmellate.

In Val Venosta, la coltivazione delle albicocche avviene ad un’altitudine compresa tra i 600 e i 1.200 metri sul livello del mare a garanzia di una qualità eccellente del prodotto.

Gli esperti e gli amanti delle albicocche sono concordi nel dire che non esiste un posto migliore della Val Venosta per la crescita di questo prezioso frutto. Nonostante, infatti, sia un prodotto tipicamente del sud l’albicocca in Val Venosta, a parte il rischio di gelate in primavera, trova delle condizioni climatiche davvero ideali. Le albicocche amano il caldo, il sole e il vento, mentre non amano la pioggia, l’umidità e i terreni troppo grassi. Negli ultimi decenni, in particolare nella zona attorno a Lasa molti contadini ed aziende agricole hanno ripreso con l’antica tradizione della coltivazione delle albicocche.
Un’albicocca matura della Val Venosta possiede un colore arancione intenso e luminoso con sfumature rosse. Il frutto è incredibilmente aromatico e si scoglie in bocca. Sono adatte al consumo fresco, alla preparazione di marmellate, grappe e distillati.

albicocche OLYMPUS DIGITAL CAMERA 2zejkht albicocc_21-20130401-190910-67 Albicocche-2_20c9_3339 Festa-del-Marmo-e-delle-Albicocche-in-Val-venosta marmellata-di-albicoccheLe albicocche della Val Venosta hanno una vita media molto breve, e quindi queste squisite albicocche vengono distribuite solo nella regione Trentino Alto Adige. Per bella occasione per gustarle e’ la Festa del Marmo e delle Albicocche, che coinvolge la cittadina di Lasa in una due giorni di prodotti locali.

Mela Renetta – Valle d’Aosta

È una mela carnosa, dalla polpa di color bianco crema, mediamente succosa, dal sapore acidulo.
È ricchissima di antiossidanti e vitamine. Il suo aroma caratteristico la rende un ingrediente perfetto in cucina. Ideale per insaporire le insalate, per accompagnare la carne ed è particolarmente indicata per la produzione di torte e frittelle.
La renetta è simbolo della tradizione frutticola valdostana, grazie al particolare microclima che caratterizza la Valle d’Aosta con estati secche e soleggiate favorendo un’eccellente maturazione delle mele senza particolari rischi di malattie
e permettendo l’ottenimento di un prodotto sano e genuino.
La buona esposizione al sole contribuisce alla colorazione tipica della mela di montagna ed al suo aroma intenso e gradevole.

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