Coralli di Torre del Greco

Il fatto che la storia di Torre del Greco sia legata all’amore per il corallo è cosa nota, ma forse non tutti sanno che fu una storia d’amore ad influenzarne il destino.

Il corallo, per la nostra città, ha rappresentato da sempre più di quanto si pensi. Il corallo per Torre è stato ricchezza, ma ancor prima sudore della fronte e mezzo per far fronte alla miseria.

I Torresi però, in origine, il corallo sapevano solo pescarlo, perciò quando un certo Paolo Bartolomeo Martin sbarcò nel nostro porto, fu una vera manna dal cielo.

L’intraprendente Paolo Bartolomeo Martin era partito da Marsiglia, con le sue origini genovesi, lasciandosi dietro un forte declino della lavorazione del corallo, causato dalla rivoluzione francese. Dotato di un’inquieta personalità e di innate abilità nell’incidere cammei, il Marsigliese, così chiamato dalla gente del porto, una volta arrivato nella città torrese, non ci mise molto a capirne il grosso potenziale commerciale. Alle sue capacità, i Torresi devono la nascita del primo laboratorio per la lavorazione dei cammei in corallo e su conchiglia.

Il Marsigliese, però, profondamente preso dalle sue mire imprenditoriali, non aveva calcolato un imprevisto: l’amore.

“Galeotto fu il rametto e chi lo pescò”, se così si può dire.

Fu in una giornata come le altre, mentre si trovava nel porto della nostra città a contrattare su una vendita di corallo, che lo sguardo del nostro Martin si posò sulla bellissima sorella di un pescatore. Ne rimase letteralmente incantato. Complici il sole, il luccichio del mare o, forse, la componente magica di quei rametti rossi e grezzi, per il Marsigliese non ci fu più scampo. E amore fu!

Paolo Bartolomeo Martin, allora, decise di stabilirsi definitivamente a Torre del Greco e, nel 1805 chiese al Governo Borbonico il permesso per avviare la lavorazione del corallo nella nostra città.

Ecco come una storia d’amore abbia influenzato il destino della nostra città che, da allora, ha potuto trasformarsi da molo di pescatori a capitale mondiale degli artisti dell’oro rosso.

Montappone e “Il Cappellaio Pazzo”

“Iervicella” 

Un primato mondiale

Quanti di voi si sono chiesti dove comprerà mai i suoi eccentrici “copricapo” la regina Elisabetta?

Il suo segno di riconoscimento è “Made in Italy” come la gran parte dei cappelli più famosi al mondo; molti di voi penseranno, sicuramente al nord, in qualche mega grigia azienda con più’ di 300 dipendenti e l’ora di pausa tra sigarette,  cemento e “amianto”, e invece no!

La Capitale del Cappello è un piccolo centro dell’entroterra marchigiano, neppure 1.800 abitanti quasi cento produttori di cappelli tra cui 45 aziende e più’ di 50 meravigliosi artigiani.

Per capire di più’ di questo “bizzarro fenomeno economico” mi rivolgo al Presidente del consorzio Capeldoc Marche, che mi racconta una storia da cui avrebbe potuto prendere spunto Salvatores per uno dei suoi film; in un marchigiano italianizzato mi fa vivere, step by step, “la favola di un successo”; esordisce con la battuta <<ero povero”, il mio babbo coltivava una striscetta di terreno in cui “c’era di tutto” incluso il grano, si tagliava con la falce e raccoglievamo anche la “iervcella” in dialetto, una sorta di paglia, che lavoravamo dal vespro a notte fonda intrecciando cappelli>> anche lui ne intrecciava come tutta la sua famiglia e la mattina dopo partiva col papà verso Senigallia per vendere il risultato del loro duro lavoro

Prima a piedi, poi in bicicletta, spiga dopo spiga, porta dopo porta,  intreccio dopo intreccio si comprò la sua “mitica Vespa” dando una grande “spinta” al suo business e dalla Fiat 500 in poi un crescendo di successi, prima 2 operai , poi tre, poi 4 fino ad avere un impero che esporta cappelli in tutto il mondo…

Ha scritto anche un libricino con la sua storia, gli chiedo perché non lo mette su internet, mi risponde <<cosa?Gliene regalerò uno a lei, lo do solo agli amici e ai clienti che vengono in azienda>> si è quasi risentito, alla mia domanda ha risposto perplesso; il bello di quest’angolo di Marche in cui il passato e il futuro si fondono è la genuinità delle persone, la semplicità di imprenditori che mi parlano delle regole più’ all’avanguardia dell’economia internazionale, che formano un consorzio per essere competitivi nelle esportazioni, che riescono e portare all’estero dal 50 all’ 80% della loro produzione e si scandalizzano se gli si chiede di pubblicare la loro storia sul web, perchè qui alla base ci sono i rapporti umani, convivono con il primato dei cappelli dalla fine del’ ottocento.

Mi viene in mente Forrest  Gump, che conobbe Elvis Presley, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, John Lennon, George Wallace e Richard Nixon, vinse i mondiali di Ping Pong, fu una stella del football  non avendo neppure lontanamente idea di quanto quello che gli accadeva fosse eccezionale; in egual modo a Montappone quello  che a me sembra incredibile è del tutto normale; che qui’ si rifornisca la disney, warner bros, nike, i sovrani o i più famosi personaggi del jet set mondiale non stupisce nessuno, è la loro normalità, la quotidianità che vivono da sempre, ma che una storia fatta di emozioni, di vita, di fatica e di sacrifici venga “utilizzata” nel web quasi scandalizza.

Rapita dal suo racconto mi ero dimenticata la natura del mio articolo, la prima domanda che mi viene in mente, ma che quasi temo fare per non distruggere l’atmosfera surreale che “questa favola moderna” mi ha regalato, è sulla crisi e come loro la stiano vivendo, Serafino con una grande dignità e rigore, cambiando tono e lasciando da parte il dialetto che aveva reso ancora più’ piacevole la nostra amichevole chiacchierata, mi risponde che “si sente e tanto, che però loro amano il loro lavoro, vivono per quello, si sono consorziati proprio per essere pronti ad affrontare qualsiasi problema o sventura anche se quella che sta vivendo l’Italia è una catastrofe”.

Sono pronti a tutto gli imprenditori e gli artigiani di “questa straordinaria” terra pur di tutelare il loro lavoro e gli amati dipendenti “di questa grande famiglia con tanto di cappello”, puntano sull’estero , << perché all’estero pagano>> in Italia arrivano ad avere l’80%& dei crediti non onorati, produrre per vendere in Italia per loro vorrebbe forse dire “morire” e il loro ingegno, il loro saper vivere li porta a cercare ogni soluzione per ottimizzare le esportazioni e rendere sempre più’ noto, visibile e appetibile il loro distretto, hanno fatto nascere così:

la festa del “Cappello Pazzo” (3 giorni di eventi e proposte che attirano una moltitudine di stranieri) e  il “Museo del cappello (custodisce materiali e manufatti relativi alla produzione del cappello)

Che primato per un piccolo paese nascosto tra i Monti Sibillini e il Conero, che con Falerone, Massa Fermana e Monte Vidon Corrado ci fa scoprire una nuova geografia produttiva, la più cliccata “google map delle materie prime”, questa  favola moderna  ci fa rivivere atmosfere di un passato orma quasi dimenticato fatto di antichissime macchine per cucire manovrate da nonnine canute con la stessa immediatezza con nanno la pasta di casa.

Un’overdose di cappelli e cappellifici con un sindaco cappellaio e bocconiano, Giuseppe Mochi, un parroco che saluta e omaggia sorridente mostrando il suo fedele cappello di feltro nero, il medico che fa visita con la coppola e una mostra permanente che prendendo spunto da  Lewis Carroll consacrata al “cappellaio pazzo”.

Un insolito viaggio attraverso cappelli indossati da personaggi internazionali lontanissimi, nel Ns immaginario, da una scenografia tanto agreste e vicinissimi alle grandi metropoli, da Johnny Depp, Daniel Day Lewis, dalla regina Elisabetta a Blake Lively  da Mena Suvari a Naomi Watts, da Cameron Diaz a Brigitte Bardot da Richard Burton a Brad Pitt..per arrivare ai nostri mostri sacri

Federico Fellini, Vittorio Gassman, Massimo Troisi, Silvana Mangano, Alberto Sordi,  e tanti, tanti altri

Anche il noto New York Times racconta “Montappone e i suoi cappelli”.

<<L’importante distretto, punto di riferimento internazionale della produzione di cappelli e sede del celebre evento “Il Cappello di Paglia”, è stato oggetto di una lunga recensione a firma dell’inviato Christopher Petkanas, nell’edizione domenicale (25 marzo 2007) del prestigioso quotidiano.

“Se siete proprio interessati ai copricapo, Montappone dovrebbe allora trovarsi nel vostro elenco!”
“I cappelli – prosegue l’inviato del NYT – sono la grande norma della moda, un antidoto rassicurante alle ridicolaggini volgari delle stelline smutandate ed un eco attutito di un tempo in cui le signore erano Signore>>

Cilindrio, bombetta, basco, berretta, boogie hat, borsellino,cappello da baseball,  cappello da cowboy, cappello di paglia,cappello frigio, colbacco, chullo, cloche, coppola, panama, kippah,paglietta, papalina,pileo, por pie, trilby, tuba, zucchetto.. i cappelli erano, sono e saranno ispirazione per artisti, registi, stilisti e tutta l'”Italia” del fare”,  nel loro significato  intrinseco che va al di là del semplice accessorio.

Parlando con Serafino Tirabassi mi è venuta una gran voglia di passare una settimana a Montappone e non solo per capirne di più’ di cappelli.

Cosa dire a questa realtà “di casa nostra” che tiene alto il nome dell’Italia, culla europea della produzione di cappelli, che produce il 70% del prodotto destinato al mercato nazionale, che esporta i propri manufatti in molti paesi, Francia, Germania,  Giappone, Stati Uniti d’America, Russia, che da occupazione a circa 1500 addetti con un fatturato annuo che si aggira sui 170 milioni di euro…

” Chapeaux!”

 Tiziana Sirna
Le informazioni sono state fornite dal Presidente del Consorzio Cappeldoc dott. Serafino Tirabassi
www.cappeldoc.com

Campane Del Molise

 


Produzione di Campane

L’arte di forgiare il bronzo è molto antica nella zona di Agnone, come testimoniato dalla Tavola Osca e dal materiale archeologico oggi riunito in collezioni civiche e private; nel corso dei secoli gli artigiani si specializzarono nella fabbricazione delle campane. Originariamente gli stabilimenti di produzione non esistevano, a causa della difficoltà di trasporto del prodotto e delle vie disagiate: erano perciò gli artigiani, con dei laboratori mobili, a spostarsi per costruire le campane sul posto. Tra le molte famiglie dedite a quest’arte, spiccano i Marinelli, che sono gli unici in Molise a produrre ancora campane. Fino alla II Guerra Mondiale esisteva una campana, fusa nell’anno 1000, fabbricata dalla famiglia. La Fonderia Marinelli, nel 1924, è stata fregiata del titolo ” Pontificia ” da Papa Pio XI. Agnone può oggi vantare una forte penetrazione commerciale in Italia e nel mondo: la Pontificia Fonderia Marinelli ha fabbricato campane per le più svariate occasioni, sia religiose che mondane; da ricordare, le Campane del sorriso, dedicate a Papa Luciani, la Campana per il centenario di Lourdes, o le campane ricordo per famose trasmissioni televisive. Oggi si usano le stesse tecniche dei maestri del Medioevo e del Rinascimento che richiedono un lavoro attento e paziente. L’arte delle campane, infatti, non è semplice: spessore, peso, circonferenza, altezza sono i fattori determinanti per la buona riuscita delle campane e per la loro “voce”. Si riportano alcune note sulle diverse fasi della fabbricazione di una campana: 
1) Innanzitutto si costruisce, con la guida di una sagoma di legno, una struttura in mattoni che corrisponde esattamente all’interno della campana “anima”, di forma tronco-conica. 
2) Sull’anima si sovrappongono strati di argilla fino a formare lo spessore voluto. L’argilla usata è di una qualità speciale, in quanto deve resistere all’azione erosiva del metallo liquido durante la colata. Sulla superficie levigata ottenuta con la sagoma, si applicano in cera tutti i fregi, le iscrizioni, gli stemmi e le figure che decoreranno la ” falsa campana”. 3) L’ultima fase di formatura consiste nel preparare il ” mantello”, che si ottiene sovrapponendo strati successivi di argilla. Questa viene applicata a pennello in strati sottili e uniformi, lasciando essiccare tra un’applicazione e l’altra.
4) La fossa, dove vengono calate le forme, viene completamente riempita di terra, in modo da evitare lo spostamento del mantello causato dalla spinta della colata metallica. Si procede così alla realizzazione della campana colando il bronzo ( 78 parti di rame e 22 di stagno), a 1150° C nello spazio libero tra mantello e anima. Il ciclo di lavorazione di una campana varia da trenta a novanta giorni. La fase di formatura è la più delicata al fine della riuscita delle campane; la variazione del timbro, e la possibilità di dotarle di una nota fissa così da poter formare dei concerti sono dovuti a speciali accorgimenti.
5) Dopo il raffreddamento, la campana grezza viene liberata del mantello e dell’anima e delle sbavature della colata, infine viene lucidata con spazzole e bulini. Si collauda il suono rilevandone la tonalità con apparecchi adatti e l’intervento di maestri di musica. 
Sempre ad Agnone è possibile visitare il museo internazionale storico della campana.

Link di interesse:

Marinelli, Pontificia Fonderia di Campane
www.campanemarinelli.com

Una storia lunga oltre 1000 anni quella della Fonderia Marinelli che ha visto alternarsi momenti di difficoltà a momenti conditi da tante soddisfazioni. Su tutte forse l’esperienza più significativa risale al 1924, anno in cui Papa Pio XI concesse alla famiglia Marinelli il privilegio di effigiarsi dello Stemma Pontificio e la storica visita del 19 marzo 1995 di San Giovanni Paolo II. Campane Marinelli è situata ad Agnone, comune italiano di circa 5.200 abitanti in provincia di Isernia in Molise. Antica città sannita, è sede di quello che si presume sia il più antico stabilimento al mondo per la fabbricazione delle campane.

Gerardo Sacco

Il Maestro

Una storia di passioni e tradizioni

Gerardo Sacco nasce a Crotone nel 1940. Ancora adolescente trova lavoro presso un piccolo laboratorio orafo e così scopre la sua vera vocazione: plasmare e modellare l’oro e l’argento. Dopo aver appreso i fondamenti dell’arte orafa e sviluppato il profondo desiderio di esprimere creatività, si reca a Valenza Po per migliorare e perfezionare le tecniche e i processi di lavorazione dell’oro. Tale esperienza lo arricchisce tantissimo e lo spinge, carico di entusiasmo e passione, a ritornare nella sua città e fondare nel 1963 la propria “ditta artigianale”.

All’interno del suo “laboratorio-bottega” recupera i processi di lavorazione del passato, e si specializza in una produzione che affonda le proprie radici nella cultura magnogreca e nella tradizione contadina del Mediterraneo. Nello stesso anno realizza il suo primo campionario, con il quale conquista il 1° premio alla Mostra dell’Artigianato Orafo di Firenze e l’Oscar dell’Artigianato alla Mostra di Sanremo.

Questi primi successi nazionali pongono Gerardo Sacco all’attenzione del settore orafo per creazioni originali e nettamente distintive, rendendolo oggi l’orafo calabrese più noto in Italia e all’estero, in virtù anche della sua particolare affinità con il mondo della cultura e dello spettacolo. Da sempre infatti le sue opere sono protagoniste in esposizioni che conducono lo spettatore attraverso un racconto prezioso che parte dalla Magna Grecia e arriva ai giorni nostri.

Oltre che nel Complesso del Vittoriano a Roma e all’interno dei Musei Vaticani, le creazioni di Gerardo Sacco trovano spazio in grandi eventi organizzati da diversi Istituti Italiani di Cultura all’Estero, come quelli di Bruxelles, Lisbona, Copenaghen e Madrid. I suoi gioielli hanno esaltato il glamour femminile di grandi star in svariate produzioni cinemato-grafiche, teatrali e televisive, da Liz Taylor a Isabella Rossellini, da Monica Bellucci a Elena Sofia Ricci.

Via Antonio De Curtis, 2 | 88900 Crotone
Tel.: +39 0962 20661/2  Fax: +39 0962 901479

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