Lucio Picone nasce a Frasso Telesino, in provincia di Benevento, e nel 1970 si trasferisce in Toscana insieme alla famiglia, dando inizio a un percorso di vita e lavoro che lo avrebbe portato a diventare uno dei più apprezzati artigiani calzaturieri italiani. Fin da giovanissimo, a soli quindici anni, Lucio entra nel mondo della calzatura lavorando in un calzaturificio a Monsummano Terme, centro storico e rinomato per la sua tradizione manifatturiera nel settore. Qui inizia una lunga esperienza di formazione, fatta di impegno, pazienza e passione, che gli permette di acquisire le competenze tecniche necessarie per trasformare una semplice scarpa in un’opera d’arte.
Dopo oltre trent’anni di lavoro e di perfezionamento, Lucio riesce a realizzare un sogno coltivato a lungo: aprire una bottega artigianale tradizionale a Pieve a Nievole, nel cuore della provincia di Pistoia, dove può esprimere liberamente la sua creatività e mettere a frutto tutta la sua esperienza. Questa bottega diventa ben presto un punto di riferimento per una clientela esigente e raffinata, che include personaggi di rilievo provenienti dal mondo dello sport e dello spettacolo. Grazie alla qualità delle sue creazioni e alla meticolosità con cui segue ogni fase della lavorazione, Lucio si afferma come uno dei migliori artigiani calzaturieri in Italia.
Il successo di Lucio Picone non è solo frutto di esperienza, ma anche di una costante ricerca tecnica e stilistica. Egli ha scelto di non accontentarsi della produzione industriale, prediligendo metodi tradizionali e manuali come le lavorazioni Goodyear e Norvegese, riconosciute a livello internazionale per la loro durata e comodità. In particolare, la lavorazione Norvegese, con le sue cuciture esterne a treccia e a punto lineare, conferisce alle scarpe una caratteristica estetica ricca e un’eccezionale resistenza. Ma Lucio non si limita a replicare tecniche classiche: ha ideato personalmente una tecnica innovativa che arricchisce l’aspetto esterno delle calzature unendo piccole strisce di pelle e spago in una sorta di ricamo, rendendo ogni paio di scarpe un pezzo unico, riconoscibile e originale.
Lucio Picone è un vero artista perché controlla con attenzione ogni dettaglio del processo produttivo: dalla scelta dei materiali, selezionando solo pellami di altissima qualità, ai colori, che consiglia personalmente ai suoi clienti per ottenere abbinamenti eleganti e armoniosi. Questa cura artigianale gli permette di offrire scarpe su misura, completamente realizzate a mano, capaci di coniugare stile classico, comfort e robustezza. Le sue creazioni sono pensate per accompagnare chi le indossa in ogni momento della vita quotidiana, dal lavoro al tempo libero fino alle occasioni più formali e cerimoniali.
La bottega di Lucio Picone è quindi molto più di un semplice laboratorio: è un luogo dove tradizione e innovazione si incontrano, dove la passione per l’arte della calzatura si trasforma in pezzi di eccellenza artigianale. Grazie alla sua dedizione, alla ricerca continua e all’amore per il mestiere, Lucio ha saputo costruire un’attività solida e riconosciuta, incarnando l’ideale dell’artigiano moderno che valorizza il lavoro manuale e la qualità sopra ogni cosa. La sua storia è la testimonianza di come talento, esperienza e passione possano trasformare una professione in un vero e proprio atto creativo e artistico.
Contatti
Lucio Picone – Via Matteotti, 22 51018 – Pieve a Nievole (PT) Tel. +39 338 7510156
Il fatto che la storia di Torre del Greco sia legata all’amore per il corallo è cosa nota, ma forse non tutti sanno che fu una storia d’amore ad influenzarne il destino. Il corallo, per la città di Torre del Greco, ha rappresentato da sempre più di quanto si pensi. Il corallo per Torre è stato ricchezza, ma ancor prima sudore e mezzo per far fronte alla miseria. I Torresi però, in origine, il corallo sapevano solo pescarlo, perciò quando un certo Paolo Bartolomeo Martin sbarcò nel porto della città, fu una vera manna dal cielo.
L’intraprendente Paolo Bartolomeo Martin, di origini genovesi, era partito da Marsiglia lasciandosi dietro un forte declino della lavorazione del corallo, causato dalla rivoluzione francese. Dotato di un’inquieta personalità e di innate abilità nell’incidere cammei, “il Marsigliese”, così chiamato dalla gente del porto, una volta arrivato nella città torrese non ci mise molto a capirne il grosso potenziale commerciale. Alle capacità di Paolo Bartolomeo Martin, i Torresi devono la nascita del primo laboratorio per la lavorazione dei cammei in corallo e su conchiglia.
“Il Marsigliese”, però, profondamente preso dalle sue mire imprenditoriali, non aveva calcolato un imprevisto: l’amore. “Galeotto fu il rametto e chi lo pescò”, se così si può dire. Fu in una giornata come le altre, mentre si trovava nel porto di Torre del Greco a contrattare su una vendita di corallo, che lo sguardo del nostro Martin si posò sulla bellissima sorella di un pescatore. Ne rimase letteralmente incantato. Complici il sole, il luccichio del mare o, forse, la componente magica di quei rametti rossi e grezzi, e per il Marsigliese non ci fu più scampo. E amore fu!
Paolo Bartolomeo Martin, allora, decise di stabilirsi definitivamente a Torre del Greco per amore e, nel 1805 chiese al Governo Borbonico il permesso per avviare la lavorazione del corallo nella città.
Fu grazie a questo incontro dunque, che nella città campana iniziò la grande produzione di gioielli, suppellettili e artiginato con i coralli. I coralli di Torre del Greco rappresentano ormai un’eccellenza artigianale italiana, famosa nel mondo per la lavorazione raffinata del corallo rosso del Mediterraneo. Da generazioni, maestri incisori trasformano questa preziosa materia in gioielli unici, simbolo di tradizione, arte e identità del territorio campano. I maestri artigiani torresi trasformano con straordinaria maestria “l’oro rosso” in gioielli e opere d’arte, tramandando tecniche antiche di incisione per realizzare decorazioni in rilievo o in incavo, senza asportare il preziosissimo materiale e creare scarti.
Oggi, questa tradizione vive tra botteghe storiche e nuove generazioni di artigiani, che fondono arte e innovazione, mantenendo viva l’anima di un patrimonio culturale unico al mondo. Ecco, dunque, come una storia d’amore abbia influenzato il destino di una città che ha potuto trasformarsi da molo di pescatori a capitale mondiale degli artisti dell’oro rosso.
“Rosso” primo colore dell’arcobaleno, primo colore percepito dai bambini, il colore della passione, di una ideologia, il colore che rappresenta la mobilitazione di tutte le energie, il colore del cuore e dell’amore, il colore di un primato mondiale tutto italiano: L’ “ORO ROSSO” di Torre del Greco.
Il Corallo, citato nelle più’ grandi opere epiche, a cui gli antichi popoli dell’Africa, del Mediterraneo, dell’Est europeo e dell’Oriente davano una valenza divina, lo celebravano e utilizzavano come amuleto apotropaico, in Italia ha sancito l’inizio di una rivoluzione che portò all’emancipazione delle Donne di Torre del Greco. Se per l’America la corsa all’oro fu paragonata ad una febbre per i risvolti che ne derivarono in termini sociali e culturali, per l’Italia la produzione dell’ “ORO ROSSO” decretò sin dal XV secolo una cura che spinse Ferdinando IV di Borbone, nel lontano ‘700, ad Emanare il “Codice Corallino” , che porto’ nel 1790 a costituire la “Reale Compagnia del Corallo” e che nel 1805 grazie ad un francese di origini genovesi”Paolo Bartolomeo Martin”, con il benestare del Re, fece nascere la prima fabbrica per la lavorazione del corallo in cui vennero impiegate centinaia di donne.
Quante fabbriche sono nate in quel periodo, migliaia, ma il significato intrinseco di questa, il risvolto sociale, l’apporto e l’importanza che ebbe per Torre del Greco e l’Italia tutta non ha eguali. Associare l’emancipazione, una rivoluzione culturale con la nascita di una Fabbrica può’ sembrare assurdo o quantomeno superficiale, ma in un piccolo centro campano, ai limiti della sopravvivenza, con gli uomini “a’ mare” imbarcati per anni, in un periodo in cui quelle terre vivevano con un tasso di povertà paragonabile all’attuale terzo mondo, e le donne “senza possibilità alcuna” erano spesso costrette a prostituirsi per sfamare la prole, in quel contesto fatto di dolore, fame, stenti e disperazione fu una realtà.
Se fin qui la storia del corallo vi ha interessato da ora ne rimarrete incantati, quello che vi ho raccontato fino a questo punto dell’articolo è stato frutto della mia ricerca su pubblicazioni e web, quello che ho avuto la fortuna di sapere è “la vera storia” del’ “Oro Rosso” raccontata da una Regina del Corallo, Gioia, la figlia di Antonino De Simone, IL RE DEL CORALLO DI TORRE DEL GRECO.
Il Nostro incontro è stato davvero incredibile e soprattutto casuale, il merito è di una persona straordinaria, anche lui “Mecenate del corallo e dell’arte”, il Dott. Ciro Paolillo, il cui zio portò per la prima volta il Corallo in Italia dal Giappone dando una scossa al commercio di coralli e al mercato internazionale, quando si dice la vita è destino… Inizio a parlare con Gioia, facendole qualche domanda senza neppure specificare la natura della mia curiosità e lei viene giù come un fiume in piena raccontandomi tutti i particolari di una realtà imprenditoriale pregna di storia e tradizione, il suo amore, la sua passione, il suo rispetto per il corallo sono il leitmotiv di ogni suo discorso, il papà era, è e credo sarà ancora per molto, il guru del corallo di Torre Del Greco e lei riceverà degnamente lo scettro di un impero fatto d’arte e capacità imprenditoriali.
“IL CORALLO NON CONOSCE CRISI”, “il corallo è tradizione” e la tradizione non si fa influenzare dalle regole del mercato, riprende “la favola del Corallo” con la sua spontaneità dopo aver recuperato il sorriso che la mia domanda le aveva tolto. << La nostra collezione, continua, ospita più di trecento gioielli etnici antichi realizzati con corallo pescato e lavorato prevalentemente nei paesi dell’area del Mediterraneo e poi montato altrove, secondo gli usi locali.
Questi straordinari monili sono la prova tangibile dei legami che per millenni hanno unito oriente ed occidente, per cui le famosissime vie della seta e delle spezie, erano anche vie del corallo, dal momento che il nostro oro rosso era spesso il corrispettivo pagato per le preziose merci orientali. Sin dai tempi più remoti corallo e magia si rincorrono, si intrecciano confondendosi tra superstizioni, riti scaramantici o solo benaugurali; e l’aspetto forse più strabiliante è che per tutti i popoli rappresentati, dai Mongoli agli Indiani, dai Cinesi agli Indiani d’America, ma anche in Yemen, Turchia, Uzbekistan, Nigeria, Maghreb ed Europa, nel corso dei secoli, al corallo è stato universalmente riconosciuto il potere di portafortuna.
La “via della seta”, che già duemila anni fa partiva dalla Cina settentrionale, attraversava le steppe dell’Asia centrale e arrivava in Occidente, e la “via delle spezie”, che collegava il profondo sud della penisola arabica con il Mare Nostrum, erano state percorse anche in senso inverso dai mercanti coraggiosi che dal Mediterraneo si spinsero fino all’estremo oriente, utilizzando il nostro corallo rosso come merce di scambio e favorendo così la sua perfetta assimilazione con gli usi locali. Da sempre infatti il corallo ha affascinato per la sua natura contraddittoria: non minerale, anche se pietrificato, non vegetale anche se a forma di albero, non animale anche se del color del sangue.
Al corallo venivano attribuiti forti poteri apotropaici, scaramantici, terapeutici e capacità propiziatorie a tutela del benessere, della fertilità, della longevità, inoltre i gioielli etnici in corallo, aggiungevano alle virtù difensive, tipiche dell’elemento rosso, il potere benaugurale ulteriormente potenziato dalle particolari forme, dai disegni, dalle scritte, propri di ogni cultura di origine. Riassumendo, in molte culture il gioiello è una “difesa”, oltre ad abbellire, esprime lo status economico della persona e soprattutto ha la funzione di proteggere chi lo indossa nei momenti più vulnerabili della sua vita: la nascita, la pubertà, il matrimonio. Il corallo ha viaggiato e si è spinto molto lontano, intrecciandosi con gli usi locali e diventando protagonista di miti e leggende ed elemento distintivo di popoli, ma qualche volta è anche ritornato in Italia, compiendo un curioso viaggio di andata e ritorno.
A volte capita di assistere a veri e propri fenomeni di “corsi e ricorsi commerciali”, come nel caso dell’Ucraina, dove il corallo è stato introdotto da commercianti ebrei polacchi ed è subito divenuto l’ornamento preferito dalle donne ucraine. Una traccia di quanto le sto raccontando, si trova nel libro di racconti di J. Roth, “Il mercante di coralli”, dove si narra la storia di un commerciante ebreo, che vendeva i suoi preziosi coralli alle contadine ucraine, ma che fu rovinato dalla concorrenza che iniziò a vendere corallo falso a prezzi molto più bassi rispetto ai suoi. Ebbene, si è verificato un curioso flusso circolare di collane lavorate a Torre del Greco agli inizi del secolo scorso, esportate in Ucraina e ritornate in Campania dopo molti anni. Quando negli anni ’80 i giovani ebrei ottennero il permesso di emigrare, ricomprarono tutto il corallo delle contadine ucraine per rivenderlo in Europa Occidentale >>.
E’ stata riportata in questo articolo SOLO UNA PICCOLISSIMA PARTE della TRECCANI del corallo, la famiglia De Simone, che ha condiviso un viaggio virtuale attraverso la storia dell’ “ORO ROSSO DI TORRE DEL GRECO”, mille cose ancora da dire ma non basterebbe un libro, figuriamoci un articolo. Tre argomenti rimangono da sviscerare: la storia delle donne africane che dopo la scoperta del petrolio in Nigeria nel 1956 che sostavano fuori della porta del papà di Gioia in attesa di comprare quanto più corallo possibile per la dote delle loro figlie; l’utilizzo in medicina della polvere di Corallo ricavata dalla frantumazione dei piccoli pezzi non lavorabili e che in India, Pakistan, Giappone e Taiwan viene sciolta in soluzione ed è tuttora usata in medicina; la presenza di corallo in preparati medici nel Medio Evo, la pomata di corallo e succo di limone contro l’osteoporosi utilizzata dai popoli del tirreno fino a pochi anni fa, e il corallo in cucina utilizzato a Vienna.
Ho usato la lettera maiuscola riferendomi al Corallo perché davvero “è un Signore”, Mr Corallo non conosce crisi, è leader nel mondo, viene utilizzato nei più’ disparati settori, viene adorato, idolatrato, e che in Italia ci sia un piccolo centro che ha fatto la storia del corallo e in pochi lo sanno. Il Sistema Italiano potrebbe avere un “popolo di ricchi” se solo fosse stata in grado di sfruttare realmente, efficacemente, intelligentemente il proprio patrimonio Artistico, Agroalimentare, Culturale e Territoriale. In Francia con un pezzo di ferro hanno fatto, fanno e faranno fortuna, noi camminiamo sopra l’oro e lo utilizziamo come asfalto. Del “FENOMENO CORALLI A TORRE DEL GRECO” non ne sanno nulla neppure i Napoletani! “Il corallo ha attraversato civiltà e secoli e continua a piacere, perché, come diceva il mercante Nissen Piczenick, alter ego di J. Roth, “i coralli li portano tutti, ricchi e poveri, elevano chi sta in basso e adornano chi sta in alto.”
https://www.docitaly.net/wp-content/uploads/2016/04/coralli-torre-del-greco.jpg532800docitaly/wp-content/uploads/2016/11/docitaly.pngdocitaly2016-04-27 12:11:272025-11-28 12:26:24Coralli di Torre del Greco
Quanti di voi si sono chiesti dove comprerà mai i suoi eccentrici “copricapo” la regina Elisabetta?
Il suo segno di riconoscimento è “Made in Italy” come la gran parte dei cappelli più famosi al mondo; molti di voi penseranno, sicuramente al nord, in qualche mega grigia azienda con più’ di 300 dipendenti e l’ora di pausa tra sigarette, cemento e “amianto”, e invece no!
La Capitale del Cappello è un piccolo centro dell’entroterra marchigiano, neppure 1.800 abitanti quasi cento produttori di cappelli tra cui 45 aziende e più’ di 50 meravigliosi artigiani.
Per capire di più’ di questo “bizzarro fenomeno economico” mi rivolgo al Presidente del consorzio Capeldoc Marche, che mi racconta una storia da cui avrebbe potuto prendere spunto Salvatores per uno dei suoi film; in un marchigiano italianizzato mi fa vivere, step by step, “la favola di un successo”; esordisce con la battuta <<ero povero”, il mio babbo coltivava una striscetta di terreno in cui “c’era di tutto” incluso il grano, si tagliava con la falce e raccoglievamo anche la “iervcella” in dialetto, una sorta di paglia, che lavoravamo dal vespro a notte fonda intrecciando cappelli>> anche lui ne intrecciava come tutta la sua famiglia e la mattina dopo partiva col papà verso Senigallia per vendere il risultato del loro duro lavoro. Prima a piedi, poi in bicicletta, spiga dopo spiga, porta dopo porta, intreccio dopo intreccio si comprò la sua “mitica Vespa” dando una grande “spinta” al suo business e dalla Fiat 500 in poi un crescendo di successi, prima 2 operai , poi tre, poi 4 fino ad avere un impero che esporta cappelli in tutto il mondo…
Ha scritto anche un libricino con la sua storia, gli chiedo perché non lo mette su internet, mi risponde <<cosa?Gliene regalerò uno a lei, lo do solo agli amici e ai clienti che vengono in azienda>> si è quasi risentito, alla mia domanda ha risposto perplesso; il bello di quest’angolo di Marche in cui il passato e il futuro si fondono è la genuinità delle persone, la semplicità di imprenditori che mi parlano delle regole più’ all’avanguardia dell’economia internazionale, che formano un consorzio per essere competitivi nelle esportazioni, che riescono e portare all’estero dal 50 all’ 80% della loro produzione e si scandalizzano se gli si chiede di pubblicare la loro storia sul web, perchè qui alla base ci sono i rapporti umani, convivono con il primato dei cappelli dalla fine del’ ottocento.
Mi viene in mente Forrest Gump, che conobbe Elvis Presley, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, John Lennon, George Wallace e Richard Nixon, vinse i mondiali di Ping Pong, fu una stella del football non avendo neppure lontanamente idea di quanto quello che gli accadeva fosse eccezionale; in egual modo a Montappone quello che a me sembra incredibile è del tutto normale; che qui’ si rifornisca la disney, warner bros, nike, i sovrani o i più famosi personaggi del jet set mondiale non stupisce nessuno, è la loro normalità, la quotidianità che vivono da sempre, ma che una storia fatta di emozioni, di vita, di fatica e di sacrifici venga “utilizzata” nel web quasi scandalizza. Rapita dal suo racconto mi ero dimenticata la natura del mio articolo, la prima domanda che mi viene in mente, ma che quasi temo fare per non distruggere l’atmosfera surreale che “questa favola moderna” mi ha regalato, è sulla crisi e come loro la stiano vivendo, Serafino con una grande dignità e rigore, cambiando tono e lasciando da parte il dialetto che aveva reso ancora più’ piacevole la nostra amichevole chiacchierata, mi risponde che “si sente e tanto, che però loro amano il loro lavoro, vivono per quello, si sono consorziati proprio per essere pronti ad affrontare qualsiasi problema o sventura anche se quella che sta vivendo l’Italia è una catastrofe”.
Sono pronti a tutto gli imprenditori e gli artigiani di “questa straordinaria” terra pur di tutelare il loro lavoro e gli amati dipendenti “di questa grande famiglia con tanto di cappello”, puntano sull’estero , << perché all’estero pagano>> in Italia arrivano ad avere l’80%& dei crediti non onorati, produrre per vendere in Italia per loro vorrebbe forse dire “morire” e il loro ingegno, il loro saper vivere li porta a cercare ogni soluzione per ottimizzare le esportazioni e rendere sempre più’ noto, visibile e appetibile il loro distretto, hanno fatto nascere così:
la festa del “Cappello Pazzo” (3 giorni di eventi e proposte che attirano una moltitudine di stranieri) e il “Museo del cappello (custodisce materiali e manufatti relativi alla produzione del cappello). Che primato per un piccolo paese nascosto tra i Monti Sibillini e il Conero, che con Falerone, Massa Fermana e Monte Vidon Corrado ci fa scoprire una nuova geografia produttiva, la più cliccata “google map delle materie prime”, questa favola moderna ci fa rivivere atmosfere di un passato orma quasi dimenticato fatto di antichissime macchine per cucire manovrate da nonnine canute con la stessa immediatezza con nanno la pasta di casa. Un’overdose di cappelli e cappellifici con un sindaco cappellaio e bocconiano, Giuseppe Mochi, un parroco che saluta e omaggia sorridente mostrando il suo fedele cappello di feltro nero, il medico che fa visita con la coppola e una mostra permanente che prendendo spunto da Lewis Carroll consacrata al “cappellaio pazzo”.
Un insolito viaggio attraverso cappelli indossati da personaggi internazionali lontanissimi, nel Ns immaginario, da una scenografia tanto agreste e vicinissimi alle grandi metropoli, da Johnny Depp, Daniel Day Lewis, dalla regina Elisabetta a Blake Lively da Mena Suvari a Naomi Watts, da Cameron Diaz a Brigitte Bardot da Richard Burton a Brad Pitt..per arrivare ai nostri mostri sacri. Federico Fellini, Vittorio Gassman, Massimo Troisi, Silvana Mangano, Alberto Sordi, e tanti, tanti altri. Anche il noto New York Times racconta “Montappone e i suoi cappelli”.
<<L’importante distretto, punto di riferimento internazionale della produzione di cappelli e sede del celebre evento “Il Cappello di Paglia”, è stato oggetto di una lunga recensione a firma dell’inviato Christopher Petkanas, nell’edizione domenicale (25 marzo 2007) del prestigioso quotidiano. “Se siete proprio interessati ai copricapo, Montappone dovrebbe allora trovarsi nel vostro elenco!” . “I cappelli – prosegue l’inviato del NYT – sono la grande norma della moda, un antidoto rassicurante alle ridicolaggini volgari delle stelline smutandate ed un eco attutito di un tempo in cui le signore erano Signore>>.
Cilindrio, bombetta, basco, berretta, boogie hat, borsellino,cappello da baseball, cappello da cowboy, cappello di paglia,cappello frigio, colbacco, chullo, cloche, coppola, panama, kippah,paglietta, papalina,pileo, por pie, trilby, tuba, zucchetto.. i cappelli erano, sono e saranno ispirazione per artisti, registi, stilisti e tutta l'”Italia” del fare”, nel loro significato intrinseco che va al di là del semplice accessorio. Parlando con Serafino Tirabassi mi è venuta una gran voglia di passare una settimana a Montappone e non solo per capirne di più’ di cappelli.
Cosa dire a questa realtà “di casa nostra” che tiene alto il nome dell’Italia, culla europea della produzione di cappelli, che produce il 70% del prodotto destinato al mercato nazionale, che esporta i propri manufatti in molti paesi, Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti d’America, Russia, che da occupazione a circa 1500 addetti con un fatturato annuo che si aggira sui 170 milioni di euro…
” Chapeaux!”
Tiziana Sirna
Le informazioni sono state fornite dal Presidente del Consorzio Cappeldoc dott. Serafino Tirabassi
www.cappeldoc.com
https://www.docitaly.net/wp-content/uploads/2013/07/montappone.jpg372714docitaly/wp-content/uploads/2016/11/docitaly.pngdocitaly2016-04-27 11:00:002025-10-17 21:41:56Montappone e “Il Cappellaio Pazzo”
L’arte di forgiare il bronzo è molto antica nella zona di Agnone, come testimoniato dalla Tavola Osca e dal materiale archeologico oggi riunito in collezioni civiche e private; nel corso dei secoli gli artigiani si specializzarono nella fabbricazione delle campane.
Originariamente gli stabilimenti di produzione non esistevano, a causa della difficoltà di trasporto del prodotto e delle vie disagiate: erano perciò gli artigiani, con dei laboratori mobili, a spostarsi per costruire le campane sul posto. Tra le molte famiglie dedite a quest’arte, spiccano i Marinelli, che sono gli unici in Molise a produrre ancora campane. Fino alla II Guerra Mondiale esisteva una campana, fusa nell’anno 1000, fabbricata dalla famiglia. La Fonderia Marinelli, nel 1924, è stata fregiata del titolo ” Pontificia ” da Papa Pio XI. Agnone può oggi vantare una forte penetrazione commerciale in Italia e nel mondo: la Pontificia Fonderia Marinelli ha fabbricato campane per le più svariate occasioni, sia religiose che mondane; da ricordare, le Campane del sorriso, dedicate a Papa Luciani, la Campana per il centenario di Lourdes, o le campane ricordo per famose trasmissioni televisive. Oggi si usano le stesse tecniche dei maestri del Medioevo e del Rinascimento che richiedono un lavoro attento e paziente.
L’arte delle campane, infatti, non è semplice: spessore, peso, circonferenza, altezza sono i fattori determinanti per la buona riuscita delle campane e per la loro “voce”. Si riportano alcune note sulle diverse fasi della fabbricazione di una campana: 1) Innanzitutto si costruisce, con la guida di una sagoma di legno, una struttura in mattoni che corrisponde esattamente all’interno della campana “anima”, di forma tronco-conica. 2) Sull’anima si sovrappongono strati di argilla fino a formare lo spessore voluto. L’argilla usata è di una qualità speciale, in quanto deve resistere all’azione erosiva del metallo liquido durante la colata. Sulla superficie levigata ottenuta con la sagoma, si applicano in cera tutti i fregi, le iscrizioni, gli stemmi e le figure che decoreranno la ” falsa campana”.
3) L’ultima fase di formatura consiste nel preparare il ” mantello”, che si ottiene sovrapponendo strati successivi di argilla. Questa viene applicata a pennello in strati sottili e uniformi, lasciando essiccare tra un’applicazione e l’altra. 4) La fossa, dove vengono calate le forme, viene completamente riempita di terra, in modo da evitare lo spostamento del mantello causato dalla spinta della colata metallica. Si procede così alla realizzazione della campana colando il bronzo ( 78 parti di rame e 22 di stagno), a 1150° C nello spazio libero tra mantello e anima. Il ciclo di lavorazione di una campana varia da trenta a novanta giorni. La fase di formatura è la più delicata al fine della riuscita delle campane; la variazione del timbro, e la possibilità di dotarle di una nota fissa così da poter formare dei concerti sono dovuti a speciali accorgimenti.
5) Dopo il raffreddamento, la campana grezza viene liberata del mantello e dell’anima e delle sbavature della colata, infine viene lucidata con spazzole e bulini. Si collauda il suono rilevandone la tonalità con apparecchi adatti e l’intervento di maestri di musica. Sempre ad Agnone è possibile visitare il museo internazionale storico della campana.
Una storia lunga oltre 1000 anni quella della Fonderia Marinelli che ha visto alternarsi momenti di difficoltà a momenti conditi da tante soddisfazioni. Su tutte forse l’esperienza più significativa risale al 1924, anno in cui Papa Pio XI concesse alla famiglia Marinelli il privilegio di effigiarsi dello Stemma Pontificio e la storica visita del 19 marzo 1995 di San Giovanni Paolo II. Campane Marinelli è situata ad Agnone, comune italiano di circa 5.200 abitanti in provincia di Isernia in Molise. Antica città sannita, è sede di quello che si presume sia il più antico stabilimento al mondo per la fabbricazione delle campane.