Acqua Filette – Lazio

Fonte Italia S.r.l imbottiglia l’acqua della sorgente Filette nel cuore delle montagne della Ciociaria più verde e incontaminata.
La fonte si trova nel comune di Guarcino, Frosinone, e ha una portata annua di circa 50 milioni di litri.

I prodotti sono esportati con l’obiettivo di garantire a tutti un’acqua di qualità superiore, preservando l’ecosistema e la salute dei consumatori nel rispetto delle normative previste dalla Legge Italiana, dall’Unione Europea e dalle Leggi dei Paesi dove i prodotti sono esportati.
FonteItalia S.r.l. è un’azienda con un sistema di gestione certificato secondo le norme UNI EN ISO 9001:2008.
L’azienda controlla e garantisce tutte le fasi del processo di produzione: dal servizio al cliente al design e alla grafica, dall’imbottigliamento alla distribuzione.

Disponibile in tre tipologie, “Naturalmente naturale”, “Delicatamente frizzante” e “Decisamente frizzante”, Acqua Filette soddisfa tutti i palati ed esalta la preziosità dei vini valorizzandone la persistenza.

Anche le linee e le forme sono di lussuosa eleganza: una classica bottiglia bordolese da vino è rivestita da un’etichetta in carta satinata da champagne, con l’iniziale F in lamina d’argento. La scelta del vetro, rigorosamente a perdere, e la capsula a copertura del tappo garantiscono la purezza, preservando Acqua Filette da ogni tipo di contaminazione.

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NATURALMENTE NATURALE

Bottiglia in vetro a perdere, disponibile nei formati da 375 e 750 ml

Delicatamente Acqua Filette   Lazio

DELICATAMENTE FRIZZANTE

Bottiglia in vetro a perdere, disponibile nei formati da 375 e 750 ml

Decisamente Acqua Filette   Lazio

DECISAMENTE FRIZZANTE

Bottiglia in vetro a perdere, disponibile nei formati da 375 e 750 ml

Bere consapevolmente. L’Acqua.

L’acqua fa bene al cuore, ai reni, al fegato, all’intestino e alla pelle. Per star bene è necessario abituarsi a bere l’acqua regolarmente e non solo quando si ha sete.

L’acqua minerale in bottiglia sta, a poco a poco, assumendo la stessa importanza del vino. Esiste ormai la figura del sommelier dell’acqua ed esistono corsi che insegnano a diventarlo.

Nei migliori ristoranti stranieri, ma anche in Italia, sta diventando una consuetudine che oltre alla carta dei vini ci sia la carta delle acque minerali.

 

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Le Tielle di Gaeta – Oro del Golfo

Azienda “L’Oro Del Golfo”, Tielle fresche e surgelate artigianali di Mario Frostino > La modernità sposa la Tradizione
La tiella è una specialità gastronomica tipica della città di Gaeta, consistente nell’interporre un ripieno di vario genere (solitamente di prodotti della terra o del mare) tra due sfoglie di pasta simile a quella della pizza, ma che richiede una lavorazione più accurata e possibilmente manuale. In altri termini la tiella si potrebbe definire come una sorta di ripieno tra due strati circolari di pasta morbida, umida nel ripieno ma non eccessivamente nello strato esterno.
La tiella nasce come piatto unico gradito a contadini e pescatori per consentire loro di avere una pietanza che si conservasse per diversi giorni. Si racconta che già ai tempi dei Borbone alcuni di essi ne fossero estimatori; successivamente la sua memoria si lega al consumo di gaetani che partivano per emigrare in cerca di fortuna.
Ai tempi nostri la tiella rappresenta una specialità apprezzata da tutti e ricercata da turisti e abitanti delle città limitrofe, una pietanza che molti cercano di imitare o di proporre nelle varie pizzerie, ristoranti e attività commerciali e di somministrazione alimentare, ma che pochi (solitamente le massaie) riescono a creare nel migliore dei modi.
La tradizione vuole la tiella ripiena di: polpi, calamaretti, scarola, spinaci e baccalà, zucchine, cipolle, alici, cozze ed altre varianti.
Si dice che il segreto di una buona tiella sia l’olio prodotto con olive di Gaeta il quale, come solevano dire le passate generazioni, deve scorrere fino ai gomiti, cosa che ai tempi odierni non è sicuramente possibile, per motivi di dieta, igiene e costo del prodotto.

Come preparare un tiella
Tiella di scarola: – 500 gr di farina – 500 gr di scarola – 100 gr di olive nere snocciolate – 50 gr di capperi – olio, prezzemolo, sale, peperoncino forte
Tagliuzzare finemente la scarola, cospargerla di sale e metterla a cuocere per 15minuti. Schiacciare la verdura così preparata ben bene con le mani per eliminare tutta l’acqua che contiene e condirla con olio, peperoncino forte, prezzemolo, olive, capperi, con l’aggiunta, per chi lo gradisce, 150 gr di baccalà diliscato e tagliato a pezzi grossolani.

 

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Zafferano di Sardegna

Sul piano meramente agricolo la Sardegna si connota per la sua pastorizia, per l’arte casearia e recentemente per la qualità delle sue produzioni enologiche, ma da tempo … e non da poco … anche per un patrimonio di produzioni tipiche che ne hanno caratterizzato da generazioni la sua peculiarità turistica e gastronomica. Una regione povera di produzioni agricole estensive, di massa. Una terra ricca di cultura, quanto di specificità locali , apprezzate sempre più anche dai tanti stranieri che visitano l’isola durante il loro soggiorno. Lo zafferano è tra le colture di Sardegna più originali e antiche. Tra gli attuali storici che hanno saputo ben illustrare il posizionamento dello zafferano nella società e nelle dinamiche delle storie locali va citato certamente Antonio Casti. Tra i suoi ultimi scritti un dotto vademecum sullo Zafferano di San Gavino Monreale e sull’introduzione di questa spezia in Sardegna. Tra i primi documenti storici sulla presenza dello zafferano nell’area possiamo citare la Grotta della Vipera a Cagliari per le scritte sulla tomba di Attilia Pomptilia …” su tzaffaranu profumau” da parte di Cassio Filippo nel I secolo d.C. A tali primordi la vera reintroduzione produttiva va segnalata nel periodo della dominazione bizantina (VI – IX secolo) quando nell’isola una serie di monaci devoti a San Basilio coltivavano e diffondevano le tecniche di produzione dello zafferano. Un uso molto ampio dello zafferano di questa comunità di monaci che ne divulgarono oltre le utilizzazioni salutistiche, anche le grandi opportunità gastronomiche. Un ruolo non indifferente lo ebbe la comunità del Convento di Santa Lucia in quel di San Gavino Monreale, uno dei comuni maggiormente produttivi di zafferano in Sardegna e in Italia. Era uso coltivare gli orti nei pressi dei monasteri o nelle vicinanze delle case nobiliari e la sua utilizzazione si estendeva anche ad impieghi come quello aromatico e medicinale. Poco oltre anche lo stesso Ordine Francescano, successivo a i Monaci di San Basilio, favorirono la coltivazione dello zafferano di San Gavino e dei comuni del Medio Campidano, facendolo conoscere ed apprezzare oltre i confini dell’isola. La storiografia sull’uso e le tradizioni dello zafferano in Sardegna ci portano a segnalare che solo in questa regione il lessico sullo zafferano utilizzato da generazioni e delle famiglie ha una sua specificità linguistica: zafferano (tzaffaranu), Crini (le foglie dello zafferano, Ena (i pistilli), Grofu (il giorno di massima produzione dei fiori), Cuguddau (quando il fiore nelle prime ore del mattino è ancora chiuso), Furconis (peduncolo biancastro che collega i tre pistilli e che si consiglia di separarlo in quanto non contiene gli elementi essenziali presenti nei pistilli) … in concreto questa spezia entra a pieno titolo nella cultura e nelle tradizioni del popolo sardo. La Sardegna produce una gran quantità di zafferanoma molto viene utilizzato all’interno dell’isola per soddisfare la grande varietà di pietanze e di piatti che sono esaltati dalleunicità organolettiche dello zafferano sardo. Una cultura che un tempo era riservata alle famiglie benestanti , nobiliari e che invitavano i propri familiari a proseguire nelle generazioni tali coltivazioni, in quanto indice di prestigio e di considerazione da parte delle famiglie del luogo. Sono state trovati e segnalati dallo storico Casti documenti testamentari molto interessanti , in cui si disponeva che ai molti figli … e alla mia moglie venisse regolamentata la divisione dei bulbi …” Giuseppe Aru nel 1820 disponeva che le cipolle di zafferano piantate in via Oristano a San Gavino per 10 starelli dovessero andare alla moglie e il restante ai suoi 11 figli …” il prezzo era affidato ai mercatali o ai Consoli dei porti di arrivo delle merci e confrontando i soldi per libbra( 400 gr) dello zafferano rispetto ad altre spezie quali il pepe, lo zucchero, lo zenzero …  lo zafferano con i 50 soldi era la spezia più cara e ricercata. La coltivazione si è tramandata di generazione in generazione sino ai giorni nostri. La Sardegna è indubbiamente in Italia la regione maggior produttrice di zafferano il cui nucleo storico e produttivo è concentrato nei comuni di San Gavino Monreale, Turri e Villanovafranca nel Medio Campidano con altre piccole isole produttive al nord della Sardegna. Una valorizzazione di questa realtà produttiva è giunta con il recente riconoscimento comunitario della DOP (Denominazione di Origine Protetta) a tutto il prodotto dell’isola. Purtroppo ad oggi le poche e scarse rivendicazioni di tale riconoscimento da parte dei produttori rispetto alle aspettative, sono un dato di fatto, ciò dovuto per gli alti costi burocratici che non permettono di poter usufruire di tale riconoscimento. Di certo al di là degli aspetti normativi lo zafferano entra nella famiglia sarda in modo così eclatante nel periodo di raccolta dei fiori, con un coinvolgimento di vicini e parenti. Un entusiasmo che certamente coinvolge giovani generazioni e le donne, principali protagoniste di tale spezia.

 

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